[Il cielo sopra Berlino]
Ugo era sdraiato a terra.
Stava per perdere i sensi: sentiva che qualcosa lo stava trascinando in un’altra dimensione.
La dimensione che lui chiamava “del galleggiamento”.
Quell’istante in cui sei sdraiato nel letto e la tua testa inizia a vagare fino a perdere la cognizione del tempo.
Cercava di capire se fosse sveglio, morto, o se stesse semplicemente sognando.
Era confuso, stava per chiudere gli occhi, quando all’improvviso eccole là: vide delle nuvole bianche che danzavano veloci, in quella stupenda distesa azzurra.
Quel cielo gli ricordava tanto il cielo sopra Berlino: la sua città.
La città che amava; che gli aveva donato una casa dove vivere, una donna d’amare, ma sopratutto lui, il suo piccolo smorunco: come lo chiamava affettuosamente Ugo.
Suo figlio. La sua passione, il suo cuore, quel cuore che girava indisturbato per il mondo.
Si perché solo quando hai la fortuna di avere un figlio, capisci che parte di te, del tuo DNA, del tuo carattere e della tua anima, si trovano dentro un’altra persona.
Fino a quel momento Ugo non aveva capito il vero significato delle parole “per sempre”.
Nella testa di Ugo, per sempre non esisteva, era un concetto astratto, che non capiva fino in fondo, che percepiva solamente, che non aveva mai sentito suo.
Solo quando lo vide piangere per la prima volta, dentro quella teca in plexiglass, appena uscito dalla sala parto, Ugo capì finalmente cosa significasse amore vero e le parole “per sempre”: significavano Edward.
[EB]
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